Mariapia Statile

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Metamorfosi e la Doppiezza dell’Essere

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aprile/2012
Articolo pubblicato per Euterpe – Rivista di Letteratura (ISSN 2280-8108), III, 2012, p. 35

Il concetto di metamorfosi sottende il mutamento e il cambiamento radicale.
Nella mitologia classica si intende la trasformazione soprannaturale di un essere e/o oggetto in un altro di natura diversa.

Esempio mirabile è l’opera di Ovidio “Le Metamorfosi. Si tratta di un vero e proprio poema delle trasformazioni nel quale sono narrati circa 250 miti, i quali risultano uniti tra loro dalla concezione di una natura animata, ossia miti che mutano in materia animata oppure, inanimata. Il tutto segue un motivo conduttore che è la mutazione continua.

In ogni mutamento, Ovidio mette in evidenza il sofferto persistere della natura antica in quella nuova e diversa, frutto della metamorfosi stessa. Inoltre, sottolinea il tormento  di quelle creature che trovano la trasformazione come una via d’uscita alla propria situazione impossibile, che è stata a sua volta generata da una passione.

Tra i vari miti, quello che esprime al meglio il concetto di metamorfosi in questione è quello che narra la vicenda di Apollo e Dafne. Ella era figlia di Gea, Madre della Terra,  e del dio fluviale Peneo. La giovane ninfa trascorreva la sua vita nella quiete dei boschi e nel piacere della caccia. La sua vita fu però sconvolta dal capriccio di Apollo e Eros.

Eros poiché fu profondamente ferito dalle parole di Apollo, il quale si burlò di lui dicendogli che non aveva mai compiuto azioni gloriose, decise allora di preparare una crudele vendetta. A quel punto si recò presso il monte Parnaso e forgiò due frecce: una   con la punta di piombo, che sarebbe servita per respingere l’amore, e l’altra spuntata  in oro per far nascere l’amore. Infatti, furono rispettivamente destinate la prima al cuore  di Dafne, la seconda ad Apollo.

L’amore che provava Apollo era incontrollabile, pertanto Dafne chiese aiuto a sua madre. Gea allora decise, per evitare l’unione dei due, di trasformare sua figlia in un albero. Fu in quel momento che i capelli della giovane ninfa si trasformarono in ricchi rami   di foglie, le braccia si protesero verso l’alto mutando in rami, la tenera corteccia ricoprì il suo corpo, i piedi divennero robuste radici e il suo delicato volto svanì.Dalle foglie proveniva un aroma di spezie meravigliosamente caldo e fragrante: era l’alloro (o lauro), quella stessa pianta che per tale motivo diverrà sacra per Apollo.

Scrive Ovidio nelle “Metamorfosi”(I, 555-559): «Apollo l’ama, e abbraccia la pianta come se fosse il corpo della ninfa; ne bacia i rami, ma l’albero sembra ribellarsi a quei baci. Allora il dio deluso così le dice: “Poiché tu non puoi essere mia sposa, sarai almeno l’albero mio: di te sempre, o lauro, saranno ornati i miei capelli, la mia cetra, la mia faretra».

ph Mariapia Statile

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testi di riferimento:
L. Alfonsi, L’inquadramento filosofico delle Metamorfosi ovidiane, in N.I.Herescu (a cura di), Ovidiana, Parigi, Les Belles Lettres, 1958
P. Nasone Ovidio, Metamorfosi, 2015
C. Segal, Ovidio e la poesia del mito. Saggi sulle metamorfosi, Venezia 1991

RIPRODUZIONE RISERVATA ©Mariapia Statile

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